“Lost in Japan” – Shawn Mendes, 2018

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“Lost in Japan” – Shawn Mendes, 2018

Dal 1979 le banche centrali hanno attuato politiche concertate per contenere l’inflazione in tutte le economie del G10. Con costanza e determinazione sono riuscite a ridurre i tassi di inflazione da oltre il 10% annuo a livelli oggi inferiori al 2%. Missione compiuta – ma forse in misura eccessiva. Probabilmente per la prima volta negli ultimi quarant’anni l’inflazione si mantiene persistentemente al di sotto delle aspettative, e queste ultime continuano a ridursi. Ciò appare ancora più sorprendente considerando che ci troviamo in un contesto di fine ciclo, un periodo in cui le banche centrali sono tradizionalmente impegnate a contrastare l’inflazione, piuttosto che a sostenerla. Come si spiega l’attuale situazione da un punto di vista macroeconomico e quali sono le sue implicazioni in termini di valutazioni e sentiment di mercato? Nel complesso, riteniamo che l’attuale contesto favorisca gli asset e le strategie che offrono un carry interessante. Come abbiamo già sottolineato in precedenti aggiornamenti settimanali, le domande fondamentali da porsi sono: ci troviamo in una situazione analoga a quella del Giappone? E come possiamo adattare i nostri portafogli all’attuale scenario?

Quali sono le prospettive?

Macro: i fattori alla base di un’inflazione persistentemente inferiore all’obiettivo

L’inflazione si mantiene su livelli inferiori agli obiettivi delle banche centrali ormai da qualche tempo. La maggior parte degli istituti monetari persegue un obiettivo d’inflazione a lungo termine del 2%, che tuttavia non sembra più funzionare correttamente dal 2016. In questo periodo, l’inflazione core (che esclude gli elementi ciclici) nell’Area euro è aumentata a un tasso annuale di circa l’1%. La situazione negli Stati Uniti appare più incoraggiante. L’inflazione core statunitense si mantiene attorno al 2%; tuttavia, da un’analisi più approfondita dei dati emerge un quadro simile a quello nel resto del mondo: una parte sostanziale dell’attuale tasso di inflazione core statunitense (2,4%) è infatti dovuta al costo dell’assistenza sanitaria e all’inclusione della componente “abitazione”. Al netto di questi due fattori, l’inflazione core statunitense scende al 2,1%: un livello non elevato, considerando che ci troviamo in una fase avanzata del ciclo economico. La situazione è simile in Canada, Svezia, Norvegia, Svizzera, e naturalmente in Giappone. Nel contesto di fine ciclo del 2006-2007, i livelli d’inflazione erano molto più elevati: cosa manca oggi?

Innanzitutto, la teoria economica prevede che il tasso di crescita a lungo termine dei prezzi sia strettamente collegato alla dinamica della crescita salariale. Cosa sta succedendo su questo fronte? Nell’Area euro, il tasso di crescita delle retribuzioni si è attestato attorno all’1,5% nel periodo dal 2011 al 2018, e difficilmente l’inflazione ha raggiunto valori più elevati. Nell’ultimo periodo si è registrata un’accelerazione, con un aumento fino al 2,7% a giugno, indicando la possibilità che l’inflazione si stabilizzi. Negli Stati Uniti, la crescita dei salari si attesta attorno al 3,5%, secondo l’indagine della Federal Reserve di Atlanta. Un livello non basso, ma inferiore alla crescita registrata nel 2006-2007 (oltre il 4%). In Canada, i salari sono aumentati del 4,5% dal 2017, meno del 6% osservato nel 2006-2007. La situazione sul fronte delle retribuzioni sembra quindi giustificare un’inflazione superiore all’1% in tutte le economie G10, ma inferiore ai livelli raggiunti nel ciclo precedente. Ciò spiega solo in parte l’attuale situazione.

Il tassello mancante del rompicapo dell’inflazione va probabilmente ricercato altrove. Dalla crisi del 2008, la domanda è cresciuta ad un ritmo insolitamente lento. Secondo i dati dell’FMI, tra il 2006 e il 2007 il PIL mondiale è aumentato in media del 5,5%, a fronte di una crescita degli investimenti del 10%. Nell’ultimo periodo, questi dati sono scesi rispettivamente al 3,5% e al 7%, con un evidente rallentamento degli investimenti ma anche dei consumi. Ciò ha avuto due importanti conseguenze: innanzitutto, ha determinato una decelerazione del tasso di crescita dei prezzi delle materie prime.

Gli investitori più esperti ricorderanno quando il prezzo del petrolio raggiunse un picco di 140 dollari al barile, nel 2007, rispetto ai massimi più recenti di 75 dollari al barile. La situazione è simile per la maggior parte delle materie prime. Le commodity non sono prese in considerazione nel calcolo dell’inflazione core, ma quando i prezzi aumentano per un periodo sufficientemente prolungato, vi è una contaminazione degli indici dell’inflazione core tramite l’aumento dei prezzi degli altri prodotti. La seconda conseguenza è che, in presenza di una domanda più debole, diventa sempre più difficile per le aziende trasferire l’aumento del costo della produzione sui consumatori. Negli Stati Uniti, nel periodo dal 1990 al 2006, il rapporto tra indice dei prezzi al consumo e indice dei prezzi alla produzione è aumentato dell’1,2%, ma si è stabilizzato a partire dal 2008: il “potere di determinazione dei prezzi” delle imprese si è chiaramente ridotto. Il problema dell’inflazione persistentemente bassa ha quindi origine dal rallentamento della crescita economica. Tuttavia, occorre segnalare a questo punto altre fonti strutturali di bassa inflazione, come l’impatto dell’invecchiamento della popolazione, gli effetti combinati della globalizzazione e della deindustrializzazione sui salari e sul potere di determinazione dei prezzi, in un contesto in cui la quota del valore creato dal settore dei servizi cresce a scapito dell’industria. Nell’ultimo periodo i nostri Nowcaster sull’inflazione segnalano sorprese potenzialmente negative a livello di inflazione. Pertanto, il contesto di bassa inflazione rappresenta a nostro avviso un elemento fondamentale.

Sentiment e valutazioni: siate selettivi nelle vostre strategie di carry

Dal punto di vista degli investimenti, è essenziale comprendere in che modo l’inflazione incida sul sentiment di mercato e sulle valutazioni delle attività finanziarie. Innanzitutto, in termini di sentiment, riteniamo che questa potenziale sorpresa al ribasso sul fronte dell’inflazione comporti il mantenimento di politiche accomodanti da parte delle banche centrali per un periodo più prolungato. A nostro avviso, i recenti interventi della BCE e della Fed indicano che il sentiment nei confronti delle strategie e degli attivi legati al carry dovrebbe rimanere positivo. Riteniamo che la ricerca di rendimento innescata dal Quantitative Easing sia destinata a perdurare, almeno nell’Area euro, dove dovrebbe persistere più a lungo. Questa situazione di bassa inflazione dovrebbe favorire il permanere di un clima favorevole per gli asset legati al carry.

Quali attività beneficeranno di questo sentiment positivo? Per rispondere a questa domanda, crediamo che nell’attuale contesto possa essere particolarmente utile confrontare i livelli di carry offerti dai diversi risk premia sia trasversalmente (quali risk premia presentano il carry più elevato per una determinata unità di rischio) che in una prospettiva storica (quali risk premia offrono il carry più elevato rispetto ai dati storici). Secondo questa analisi, appaiono interessanti sia i titoli investment grade sia le obbligazioni high yield: entrambi offrono un carry attraente, e potrebbero beneficiare al contempo di potenziali acquisti di asset da parte delle banche centrali nell’eventualità di un deterioramento del ciclo macroeconomico. Anche le strategie di carry quali il carry obbligazionario e su dividendi appaiono interessanti per ragioni analoghe, in quanto offrono un carry allettante sia rispetto ai dati storici, sia sulla base di una comparazione trasversale tra risk premia. Riteniamo che una selezione basata sul sentiment e sulle valutazioni (il rovescio della medaglia del carry) sia fondamentale per poter trarre vantaggio dal potenziale impatto di una situazione di calo dell’inflazione.


Asset allocation: avanti con il carry!

L’inflazione dovrebbe rimanere sostanzialmente sotto controllo, con fasi in cui tenderà a mantenersi al di sotto del tasso obiettivo. Le banche centrali temono una “giapponesizzazione” delle rispettive economie, e contrasteranno questo fenomeno usando tutti gli strumenti a loro disposizione. Dopo tutto, il Giappone ha commesso il solo errore di esitare. A nostro avviso, ciò potrebbe rafforzare il sentiment nei confronti delle strategie di carry, in particolare di quelle che offrono i carry più elevati. Per queste ragioni, sovrappesiamo attualmente il carry dei titoli investment grade, high yield, obbligazionari e su dividendi. Il timore di ritrovarsi in una situazione come quella giapponese può comportare delle opportunità per gli investitori, ma anche dei pericoli: siate selettivi nella scelta dei carry in cui investire, perché potrebbero anche trasformarsi in “trappole di valore”. È quanto è accaduto con le strategie di carry sul VIX nel 2018. A nostro avviso, è fondamentale adottare un approccio dinamico: monitoriamo con attenzione sia il sentiment che le valutazioni, per evitare qualsiasi eccesso.




Lost in Japan

Shawn Mendes





Comportamento della strategia

Le nostre previsioni a medio termine sono più positive e continuiamo a sovrappesare gli asset di crescita a fronte di un sottopeso delle attività reali. Dato l’attuale costo degli asset di copertura, stiamo usando delle esposizioni a una strategia basata sui tassi di cambio per proteggerci da un deterioramento delle condizioni di mercato.

Nowcaster Unigestion

Nowcaster Crescita mondiale

Nowcaster Crescita mondiale

Nowcaster Stress dei mercati

Nowcaster Stress dei mercati

Nowcaster Inflazione mondiale

Nowcaster Inflazione mondiale

Variazione settimanale

  • Il nostro Nowcaster sulla crescita mondiale ha registrato un lieve aumento la scorsa settimana, sostenuto principalmente dal miglioramento dei dati statunitensi.
  • Il nostro Nowcaster sull’inflazione mondiale ha continuato a stabilizzarsi la scorsa settimana, dopo una lunga fase di ribasso.
  • Lo stress dei mercati è aumentato la scorsa settimana, parallelamente a un incremento della volatilità.

Fonti: Unigestion. Bloomberg, al 30 settembre 2019.

 


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